Da Cronache spigolate
Da Cronache spigolate
In quel paesino dell’ Oltrepò
pavese, circa 50 anni fa, abitato prevalentemente da contadini, “pedofilo” era
un termine conosciuto da pochi, mentre tutti sapevano bene il rispetto che si
doveva dare a creature più fortunate, figli e mogli di agricoltori, medici o
sacerdoti, artigiani e commercianti.
La società è così da sempre,
sottilmente servile con i ricchi e potenti, crudele con chi già porta le sue
croci.
Angelina era una bimbetta, con
qualcosa in comune con nostro Signore, nata anche lei in una stalla, piena di
animali, ma dove fu anche concepita davanti ai loro occhi, quasi un inizio di
una emarginazione annunciata.
Il padre mungitore al servizio
di un facoltoso agricoltore, occupato in un lavoro con poco riposo, ormai aveva
addosso impregnato come una seconda pelle, l’odore di letame di vacche, cavalli
e asini; anche il suo colore marrone scurito aveva poco di umano, lucido come
il pelo del cavallo da tiro parcheggiato lì accanto, in un recinto.
Il padre aveva però il suo
paradiso a portata di mano, e con la moglie obbediva ciecamente all’istinto
vitale, con numerosi amplessi consumati sul fieno nella stalla - unico momento
per cui valeva la pena di vivere quella dura esistenza-, con la benedizione di
una Chiesa che voleva da sempre una umanità prolifica, senza controlli.
Angelina era l’ultima di sette
fratelli, una bocca in più da sfamare, ma era molto amata forse più degli altri
essendo l’unica femmina, di una bellezza sfolgorante, fin da piccina, orchidea
nata in sentieri di letame.
A otto anni venne mandata
d’estate dal sarto del paese per imparare un mestiere che da subito, avrebbe
dato qualche vantaggio alla sua famiglia, povera ma dignitosa.
Man mano che cresceva, fuori
dalla mischia familiare, si era ingentilita nel linguaggio, accantonando il dialetto
e imparando l’italiano con la sua voce dolce un poco strascicata, che faceva
tenerezza.
Fu soprattutto il suo
corpicino acerbo ad avere un vantaggio dal distacco continuo dei lavori di
casa; cominciò ad avere un po’ di carne sulla ossa, e due piccole mele acerbe,
sbucavano dalla maglietta marrone con i capezzoli duri in evidenza, piccole
nocciole solitarie in un budino di cioccolato.
Le gambe ora tornite, dritte e
abbronzate, sbucavano dai calzettoni bianchi, per perdersi sotto una gonna
larga, azzurra come il cielo terso, col sole quasi a portata di mano che
Angelina cercava di raggiungere con un salto, mentre correva verso l’abitazione
del sarto.
Passarono due anni, in cui la
compassione per l’aiuto alla piccola e alla sua sfortunata famiglia, si perse
in qualcosa di morboso e oscuro che trasformò un uomo dedito al lavoro e alla
famiglia, in un angosciato cinquantenne posseduto da una tempesta ormonale che
lo squassava.
-Angelina, quando suonano il
campanello, vai ad aprire e ricordati di salutare con un bel sorriso e dire
"buongiorno signora, benvenuta" o benvenuto!
- Va bene Sarto, rispondeva
Angelina arrotando la erre e provocando nell'uomo una fitta di piacere...
-Angelina domani metti il
vestito che ti ho fatto, quello azzurro, sbracciato, Ormai fa caldo, così sarai
anche più comoda...-e io potrò sbirciare nella scollatura- pensava il Sarto.
Un giorno usando Angelina come
un manichino vivente per la prova di una giacca, l’aveva punta con uno spillo
al collo. Un impulso improvviso lo spinse a leccare quelle gocce sgorgate,
vampiro improvvisato, irretito dal veleno di quel sangue impregnato da ferormoni
in crescita.
Cominciò così, con regalini
dopo abbracci e baci rifiutati, e poi tollerati da Angelina, per paura di
perdere, quella pausa di ristoro da una vita grama. E continuò con carezze
insinuanti e inquiete, per giorni e giorni, pieni di paura e rimorsi dell'uomo;
sempre più tentato perché tornando a casa si assolveva, addossando ad Angelina
tutta la malizia che percepiva anche solo nel vedere come accavallava le gambe
o quando si passava la lingua sulle labbra secche.
A casa aspettando di cenare,
il sarto osservava la moglie ormai sfiorita e ingrassata che scolava la pasta
scuotendo le braccia e i seni grandi e flaccidi.
-Angelina invece ha due meline
dure come un sasso- pensò confrontando le due donne.
-Cosa sto facendo con quella
bambina, sono proprio pazzo...ma non riesco a smettere di sentire il suo
profumo. E non è profumo, povera stella, è il sapone di Marsiglia che su
di lei diventa un aroma che mi eccita- pensava fumandosi una sigaretta.
Scosse la testa e prese la
moglie alle spalle, tirandole su la sottana e attirandola a se,
sbaciucchiandola con frenesia. Eccitato dalla bambina illudeva la moglie
facendola sentire una gran femmina.
Il lento stillicidio
libidinoso, ebbe il suo culmine con un’ amplesso a suo modo dolce, per Angelina,
gettata sul divano pieno di stoffe tagliate, dall’uomo che a 10 anni la iniziò
alla vita.
L’uomo ormai era impazzito dal
desiderio, la seguiva dappertutto, anche alla domenica, nella balera
improvvisata sul retro del bar del paese, ritrovo di ragazzini e adulti; lì era
stato messo uno dei primi juke box, dove con una moneta si ascoltavano canzoni
incomprensibili in inglese, ritmate come quelle di Elvis Presley o melodiose,
di Rita Pavone.
Incurante degli sguardi
incuriositi di adulti e ragazzini che avevano compreso la sua ossessione, si
appostava vicino al cesso ancora alla turca, in fondo al cortile, e quando
Angelina, come capita a tutti, doveva servirsene, era costretta a pagare pegno
con una intimità violata anche nei suoi bisogni corporali, che eccitavano
ancora di più il sarto.
Lei chiusa dentro al cesso,
cercava di blandirlo –No, no non così sarto, no, mi fai male, mi sporchi, poi
se ne accorgono!- sussurrava, ma lui con un grugnito di passione amorosa, la
piegava alle sue voglie.
Continuò così per metà estate
fino a quando qualcuno che aveva sentito gli inutili no di Angelina, non ne
informò la moglie.
L’ira di una consorte offesa,
si riversò tutta su quella povera bambina, colpevole seduttrice, di quel
cinquantenne ormai in cammino verso l’andropausa, innamorato di vita giovane. E
tutto il paese solidale con la moglie tradita, cercava la conferma di
comportamenti consapevolmente traviati in quella piccola vittima bambina.
Nessuno la difese, nemmeno da
se stessa. Fu allontanata da casa presa come servetta da alcuni parenti. a 13
anni, ebbe un figlio non si seppe mai da chi, e fu messo subito in un istituto.
Dopo qualche anno, morì uccisa
con una coltellata vibrata da un cliente rimasto anonimo che non voleva pagarle
il prezzo di un po’ d’amore rubato per strada.
Ancora vittima per l’ennesima
volta di un furto, anni dopo quello del suo cuore innocente e della sua
infanzia violata all’età di 10 anni, risarcita forse solo nel ricordo di chi
esente da pregiudizi, la ricorda ancora con infinita compassione.
12.4.2011
r.g.
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